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Spesso diamo per scontato che termini usati in contesti generali possano avere lo stesso significato in contesti più specifici, oppure non consideriamo che alcuni termini hanno preso connotazioni diverse dal loro originale e reale significato, e questo quando si parla di colore food porta molta confusione .
Ti sorprenderebbe se ti dicessi che la confusione inizia proprio da questo termine! In fondo, se ci pensi, non è poi così strano. È una parola comune a cui inconsciamente associamo la capacità di colorare, ed è per questo che nella nostra mente chiamiamo erroneamente “colorante” tutto ciò che conferisce colore. Ma nel campo del colore food, è importante considerare che il Regolamento di Riferimento (REG.CEE 1333/2008) riporta una definizione precisa di colorante. Dovremmo quindi basarci su quella, mentre è una comune abitudine continuare a utilizzare questo termine per qualsiasi cosa che conferisca colore.
Quello che sto esponendo potrebbe sembrarti un dettaglio insignificante, ma ti assicuro che è proprio facendo chiarezza sul significato di questi termini che tutto diventerà più comprensibile.
Ma cos’è un “colorante”?
Se consultassimo un qualsiasi vocabolario o Wikipedia, troveremmo la seguente definizione di colorante:
una sostanza che ha la capacità di colorare, o ancora, è una sostanza organica naturale o artificiale, capace di fissarsi su un supporto, penetrandovi all’interno, e di conferirgli stabilmente un colore.
Ma nel settore dei coloranti alimentari, c’è un Regolamento (1333/2008) che ha provveduto a definire in modo preciso cosa si intende per colorante alimentare:
I «coloranti» sono sostanze che conferiscono un colore a un alimento o ne restituiscono la colorazione originaria, e includono componenti naturali degli alimenti e altri elementi di origine naturale, normalmente non consumati come alimento né usati come ingrediente tipico degli alimenti. Sono coloranti ai sensi del presente regolamento le preparazioni ottenute da alimenti e altri materiali commestibili di base di origine naturale ricavati mediante procedimento fisico e/o chimico che comporti l’estrazione selettiva dei pigmenti in relazione ai loro componenti nutritivi o aromatici.
Ricorda bene questo termine, ESTRAZIONE SELETTIVA, perché come vedremo successivamente, è ciò che farà la differenza a partire dalla stessa materia prima, tra colorante E.Number e Colouring Food.
I Coloranti E.Number, ovvero quelli che sono elencati nel Reg.1333/2008, sono gli unici COLORANTI che sono ammessi nel settore alimentare e sono tutti considerati degli additivi.
Ciò non implica che abbiamo a disposizione solo i coloranti con la E.number per colorare, ma quando si parla di “colorante” nel contesto alimentare, ci si riferisce esclusivamente a questi.
Definire e usare il termine naturale in ambito food è un argomento complesso e i coloranti non fanno eccezione; è così tanto complicato, che a livello europeo la normativa alimentare di fatto attribuisce un significato preciso a questo termine solo in due casi, per l’acqua minerale e per gli aromi.
Giusto per toglierci subito ogni dubbio, il regolamento 1333/2008 non distingue i coloranti per la loro naturalità, quindi per la normativa non esistono i coloranti naturali (riprenderemo il discorso nella sezione Coloranti E.Number).
Neanche il Regolamento 1924/2006 che riguarda i claims salutistici, che vantano qualche “valore aggiunto”, come “povero di grassi”, “privo di lattosio”, fa un qualche riferimento all’utilizzo del termine naturale, e questo, nonostante sia sempre più forte la necessità del mercato di informare i consumatori sulla naturalezza degli ingredienti alimentari. A dimostrazione di questo, basta girare tra gli scaffali del supermercato, per imbatterci frequentemente in diciture quali “prodotto naturale”, “di origine naturale”, e/o “100% naturale”.
Ma se manca una definizione legale del termine “naturale”, viene spontaneo domandarsi quando e se sia lecito usare queste espressioni per alimenti e bevande prodotti industrialmente. Ma come definire un termine la cui percezione può variare da prodotto a prodotto?
Le attese che hanno i consumatori nei confronti di questo termine rende ulteriormente complicato definirne i contorni. Una qualsiasi definizione non può certo limitarsi a stabilire che “naturale” sia utilizzabile quando un prodotto è esente da ingredienti artificiali. Purtroppo, la questione è molto più spinosa di quanto sembri, perché non sono poche le contraddizioni.
Per esempio, con la definizione di aromi naturali, secondo la normativa (Regolamento (CE) n. 1334/2008) si fa riferimento alla sola parte aromatica, mentre non si tiene conto degli additivi incorporati negli aromi per scopi tecnologici, come i solventi, gli emulsionanti,ecc., non coincidono affatto con il criterio di “esente da sostanze chimiche di sintesi”.
Non a caso la SAFE (Safe food advocacy Europe), organizzazione non governativa che si occupa di sicurezza dei prodotti alimentari, analizzando la composizione di centinaia di prodotti disponibili sul mercato ha scoperto che la maggior parte degli alimenti che usano questo claim in realtà contengono sostanze chimiche sintetiche, autorizzate ma comunque ben lontane da poter essere considerate naturali.
Ad oggi per usare il termine naturale non si può che basarsi sul Regolamento CE 178/2002 che vuole garantire un livello elevato di tutela della salute umana e degli interessi dei consumatori, e sul Regolamento UE 1169/2011 sull’etichettatura, che si prefigge di rendere i consumatori in grado di compiere scelte consapevoli e di prevenire qualsiasi pratica che lo inducano in errore.
Ma come non indurlo in errore, se lo stesso aggettivo “naturale”, secondo il dizionario della lingua italiana, è equivalente di non alterato, genuino, e derivante dalla natura. Si dovrebbe sostenere che l’utilizzo del termine naturale dovrebbe essere riferito esclusivamente a prodotti alimentari che non hanno subito una trasformazione radicale della composizione originaria e che non contengono additivi chimici?
Con questa logica, nessun cibo trasformato è “naturale” perché non è prodotto dalla natura ma dall’uomo. La normativa europea (Regolamento CE n. 852/2004) sull’igiene dei prodotti alimentari definisce i «prodotti non trasformati» e i «prodotti trasformati». I primi sono quelli non sottoposti a trattamento, eventualmente solo divisi, sezionati, affettati, disossati, tritati, scuoiati, frantumati, tagliati, puliti, rifilati, decorticati, macinati, refrigerati, congelati, surgelati o scongelati.
“In base a questa definizione si dovrebbe considerare naturale il grano e di conseguenza la farina, che si ricava con un processo semplice come la macinazione, ma il pane prodotto con questa farina? avendo subito operazioni che secondo il regolamento sono di “trasformazione” come la lievitazione e la cottura, come dovrebbe essere definito?
Ti ho riportato solo qualche esempio, ma se ne possono trovare tanti altri che motivano il fatto che non ci sia la possibilità di definire legalmente in senso generale il termine “naturale” nel food; comporterebbe un’infinita serie di distinguo e si entrerebbe in un ginepraio infinito di battaglie legali e contenzioni irrisolvibili, e se possibile una situazione di maggiore confusione di quella già esistente oggi.
Un altro termine che viene confuso è “SINTETICO”, perche spesso viene usato in modo intercambiabile, e come sinonimo di ARTIFICIALE. Ma se partiamo dal significato delle due parole ci rendiamo conto che i due termini esprimono concetti diversi.
ARTIFICIALE è di origine latina e significa “appartenente all’arte, inventata dall’arte”. Applicato a una sostanza, “artificiale” significa che la struttura molecolare di tale sostanza è stata sintetizzata, ma che non ha un suo corrispettivo in natura, cioè non è mai stata identificata in natura.
SINTETICO significa “composto, assemblato, combinato” e nel contesto di un additivo alimentare indica semplicemente il fatto che l’additivo è stato sintetizzato chimicamente.
Per capire meglio, farò degli esempi: i coloranti azoici vengono ottenuti per sintesi, ma sono artificiali, perché la loro struttura chimica non esiste in natura, al contrario il betacarotene di tipo (i), che viene ottenuto per sintesi chimica, ha una struttura praticamente uguale a quella che trovi in natura, e quindi è un coloranti di origine sintetica. Se volessimo usare dei termini più vicini al mondo degli aromi, potremmo definirla una sostanza identica a quella naturale.
Il termine SINTETICO che dovrebbe descrivere solo un prodotto che è stato ottenuto per sintesi, è diventato in realtà un sinonimo del termine ARTIFICIALE prendendo in generale la connotazione più negativa legata a quest’ultimo termine. Tutti noi conosciamo il nylon che sappiamo essere un tessuto ottenuto per sintesi, ma è anche un tessuto che non esiste in natura, quindi dovrebbe essere descritto come un tessuto artificiale, mentre la definizione più diffusa è che il Nylon è un tessuto SINTETICO.
La chimica è la scienza che studia la composizione della materia a livello molecolare e il suo comportamento in base a tale composizione, quindi la chimica studia tutte le molecole, sia quelle che troviamo in natura che quelle che definiamo artificiali perché create dall’uomo attraverso reazioni chimiche chiamate anche sintesi chimiche.
Allo stesso modo il termine “reazione chimica”, si riferisce ad una trasformazione in cui una o più specie chimiche modificano la loro struttura e composizione originaria per generare altre specie chimiche.
Ma non è quello che succede anche nelle piante quando scindono l’acqua e la trasformano in energia e ossigeno durante la fotosintesi clorofilliana? oppure quello che fa il nostro organismo quando mangiando del saccarosio lo trasforma in glucosio. Sono tutte reazioni chimiche. Se ci fai caso, tutto ciò che è definito chimico ha per noi una connotazione negativa, proprio perchè viene percepito come non naturale. Ma il termine “chimico” non dovrebbe essere il contrario del termine naturale, visto che tutto quello che ci circonda sono sostanze chimiche, lo è anche l’acqua.
con questo termine si può far riferimento a due cose:
1. Sostanza non solubile che, finemente dispersa in acqua o altro solvente, è capace di colorare per sovrapposizione, cioè di coprire la superficie di un manufatto o di un oggetto di uno strato colorato aderente.
2. In biologia, qualsiasi sostanza colorata presente nelle cellule degli animali e delle piante, che ne determina la colorazione, ma che può avere anche altre funzioni biologiche.
Tieni presente che nell’ambito dei coloranti food, i termini li troviamo con entrambi i significati.
Il primo caso quando parliamo per esempio dei PIGMENTI PERLESCENTI, oppure del BIOSSIDO DI TITANIO, o ancora degli OSSIDI DI FERRO, dove il termine indica più che altro la loro caratteristica di essere sostanze “insolubili”, praticamente non solubili in niente, non solubili in acqua, non solubili in olio, in solventi ecc. Caratteristica che li rende coprenti e simili a delle vernici.
Il significato del secondo punto lo troviamo molto spesso quando parliamo dei pigmenti che troviamo in natura, e in questo caso non fa riferimento alla loro “non solubilità”, infatti anche gli Antociani sono considerati dei “pigmenti vegetali”, e sono perfettamente solubili in acqua, allo stesso modo le clorofille e i carotenoidi sono dei pigmenti e sono solubili in olio o nei solventi apolari.
Con questo termine molto specifico e settoriale si fa riferimento alla sola molecola responsabile del colore presente in una materia prima colorante. Per esempio il principio colorante che troviamo nella CURCUMA è la CURCUMINA o quello della BARBABIETOLA è la BETANINA. E’un termine che di norma troviamo nelle schede tecniche e che se accompagnato da una % indica la concentrazione del colorante. Un altra espressione usata sulle schede tecniche come sinonimo di Principio Colorante, è “Pigmento colorante“.