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Identificare il colore più idoneo per ogni specifica applicazione, ancor più se si vogliono usare i “Clean Label”, non può che derivare da un’attenta analisi tecnica.
Per la colorazione degli alimenti e delle bevande è ormai da anni che assistiamo ad una sempre maggiore richiesta di coloranti di origine naturale in quanto sono percepiti come più sani. Soprattutto nell’ultimo decennio, la sostituzione dei coloranti artificiali a favore di quelli naturali è aumentata in modo esponenziale, ma da un punto di vista tecnologico l’uso dei colori naturali è più complesso di quello degli artificiali. I coloranti naturali sono generalmente più costosi, le tonalità sono meno vivaci e limitate rispetto alle controparti artificiali. Inoltre, le forme di naturali essendo meno concentrate, hanno dosaggi più alti e possono conferire sapori indesiderati, e la loro stabilità può essere influenzata da una serie di fattori. Per questo un approccio tecnico è altamente consigliato perché sono vari i parametri che dovrebbero essere considerati prima di scegliere un colore al fine di trovare la soluzione più adatta in una determinata applicazione. In questo articolo, andremo a vedere i motivi di questa maggiore difficoltà, ma soprattutto andremo a scoprire il giusto approccio per affrontare le nuove sfide dovute all’uso del colore naturale e ancor di più del “clean label”. Le caratteristiche dei prodotti alimentari e delle bevande sono molto diverse tra loro e questo rende molto difficile delineare delle linee guida generali sui colori e sul loro utilizzo, tuttavia, ci sono delle valutazioni che sono valide più o meno in tutti i casi, li approfondiremo in questo articolo.
Le prime valutazioni, sono più di ordine teorico e legato alla percezione del colore, infatti ormai è noto che la tonalità e l’intensità del colore sono strettamente legate alla percezione del gusto di un alimento e di una bevanda, percezione che è diversa a seconda dell’età, della cultura e delle abitudini dei consumatori.
Infatti è molto importante che un prodotto presenti una tonalità e un’intensità corrispondente alle aspettative del target dei consumatori a cui il prodotto si vuole rivolgere. I bambini tendono ad essere attratti da colori forti e vivaci, che gli adulti percepiscono invece come artificiali, tanto da preferire colorazioni più tenui. Oltre all’età, nella percezione del colore subentra un discorso geografico, infatti ci sono grandi variazioni sulle preferenze, dovute alle abitudini culturali e culinarie. I Paesi più caldi sono abituati in cucina all’uso delle spezie che rendono i cibi sia molto colorati che molto saporiti, e dove una colorazione debole, non sarebbe la soluzione migliore. Questo semplicemente per dire che anche sotto il profilo della semplice tonalità, si riscontrano molte variabili, e una colorazione per esempio quella del colore legato al sapore di fragola (dove il frutto è comunque sempre rosso) può comunque differire dal rosso-arancio al rosa brillante.
Il prodotto contiene poca o tanta acqua, o è completamente anidro? è un liquido, un’emulsione, ecc.ecc. La formulazione di un prodotto, la sua struttura e i suoi ingredienti sono i primi fattore da dover essere valutati, perché sono quelli che determineranno se optare per colori idrosolubili o solubili in olio. Per esempio nel caso di prodotti dove sono presenti sia acqua che grasso in forma emulsionata è sempre preferibile colorare, la fase continua, il mezzo di dispersione, perciò in prodotti come la margarina si tenderà ad usare coloranti oleosolubili, mentre nelle bevande per esempio a base di latte, nello yogurt, nel gelato, nei dressing, la tendenza è di usare colori solubili in acqua. Oltre a questo bisogna considerare che nelle emulsioni e nelle sospensioni l’intensità di un colore varia con: la quantità di fase dispersa, la dimensione delle particelle e il contenuto di solidi non grassi. Ad esempio, in una bevanda a base di latte magro un colore solubile in acqua apparirà molto più luminoso e più intenso rispetto allo stesso dosaggio in un prodotto lattiero-caseario con un contenuto di grassi più elevato.
Gli ingredienti di un alimento per possono migliorare o peggiorare la stabilità del colore.
+ Alcuni ingredienti come lo zucchero e le proteine possono stabilizzare la maggior parte dei colori naturali, mentre altri, come i sali, alcuni colloidi, etanolo e talvolta gli aromi, possono avere un’influenza negativa sulla stabilità del colore. Per esempio, nei prodotti dolciari, i coloranti (ad esempio la barbabietola) sono generalmente più stabili se si aumentano i solidi totali o i livelli di zucchero della formulazione; allo stesso modo alcuni coloranti grazie alla laro capacità di legarsi alle proteine risultano maggiormente stabili nelle formulazioni con alti livelli proteici, un esempio è l’annatto che si lega bene alle proteine del latte.
– Al contrario, la presenza di solfiti negli alimenti causa lo sbiadimento degli antociani, della curcumina e dell’annatto, mentre la presenza di alcol può destabilizzare alcuni coloranti come il caramello). Anche un’elevate quantità di acido ascorbico, anidride solforosa e altri antiossidanti possono provocare la degradazione di colori come gli antociani. Ma ci sono anche gli ioni metallici e/o l’acqua dura che possono essere presenti in una formulazione alimentare e che destabilizzano alcuni coloranti; ad esempio, gli ioni Ca causano precipitazioni di annatto e carminio.
Per la colorazione con le soluzioni “naturali” indipendentemente che siano coloranti E.number o Colouring Food, conoscere il valore del pH del prodotto da colorare è PRIORITARIO; e questo è importante sia perché ci sono colori che cambiano tonalità in base al pH, come gli antociani, sia perché ci sono colori che non sono stabili agli acidi, come nel caso delle clorofille e dell’annatto. Prendendo gli antociani come esempio del primo caso, a pH intorno a 3, che è la loro condizione ottimale di utilizzo, mostrano tonalità brillanti tendenti al rosso, mentre quando il pH si sposta su valori neutri, la loro tonalità gradatamente cambia virando verso il viola bluastro, a seconda del tipo di antocianidina presente nell’antociano. La clorofilla e l’annatto sono pigmenti normalmente formulati in condizioni alcaline (loro pH ottimale), sono i più sensibili all’acidità e per il loro uso in condizioni acide devono essere preferite formulazioni indicate come a prova di acido. Anche il carminio non è stabile agli acidi, il suo legame con l’alluminio a pH inferiori a 4,5-5 potrebbe rompersi e il pigmento potrebbe precipitare cambiando la sua tonalità verso l’arancione (acido carminico). Il carminio nelle sue formulazioni alcaline può essere utilizzato solo se il pigmento è intrappolato in una matrice alimentare viscosa, come le caramelle dure, le caramelle gommose. In prodotti acidi e non viscosi come le bevande analcoliche, alcoliche il carminio deve essere sostituito da miscele di acido carminico e antociani che insieme conferiscono varie tonalità sul rosso.
I coloranti conferiscono colore, ma non hanno quasi mai una funzione coprente, tranne che nella loro forma di lacca, pertanto il colore di base del prodotto può influenzare il colore finale dell’alimento o della bevanda. Il colore di fondo può provenire da altri ingredienti, ad esempio succhi di frutta, spezie di per se già colorati o derivare da processi produttivi, come a seguito di reazioni di Maillard. I coloranti non possono coprire e ancor di più schiarire tonalità dovute all’imbrunimento per esempio dovuto all’ossidazione della frutta. Il colore finale di un prodotto dipende sempre dal suo colore di base; una matrice chiara fa apparire il colore brillante, mentre lo stesso colore può apparire molto più scuro e spento se applicato su una matrice più scura. Allo stesso modo la percezione di un colore cambia in base alla trasparenza o alla torbidità di un prodotto.
Tra i parametri di lavorazione più critici normalmente c’è il riscaldamento. Non tutti i colori naturali sono ugualmente stabili dal calore. Le alte temperature e i lunghi tempi di lavorazione hanno un grande impatto sulla stabilità del colore. Ad esempio, Colori come carminio e curcuma sono generalmente considerati con un’eccellente stabilità termica e possono essere utilizzati, ad esempio, nei prodotti UHT. La barbabietola rossa mostra invece una scarsa stabilità termica e si degrada alle classiche condizioni di pastorizzazione. Un esposizione al calore ridotta al minimo potrebbe limitare il problema e la si ottiene aggiungendo la barbabietola nella fase di discesa della temperatura; tuttavia, con questa procedura rimarrebbe un alto il rischio microbiologico portato dalla barbabietola stessa. In prodotti come il gelato, nei dessert, in alcuni prodotti dolciari e negli snack estrusi, la lavorazione prevede l’aerazione del prodotto, questo processo diluisce sempre i colori abbassandone l’intensità e aumentandone la leggerezza; in questi casi è necessario usare un dosaggio maggiore di colore. Per alcune applicazioni, invece è importante che i coloranti non contengano emulsionanti che potrebbero causare una ridotta espansione o una minore stabilità delle celle d’aria incorporate.
Un materiale di imballaggio trasparente richiederà normalmente l’utilizzo di colori più stabili. Le formulazioni convenzionali basati su curcuma/curcumina e sulla barbabietola rossa sono i colori naturali più sensibili alla luce, e sono assolutamente da evitare in prodotti molto esposti alla luce, soprattutto quando nel prodotto c’è un’alta attività dell’acqua. Il discorso cambia quando questa attività è molto bassa, perché questo tende a stabilizzare la curcuma/curcumina e la perdita del colore risulta essere limitata. Oltre a questo, grazie a formulazioni particolari la curcumina è disponibile in commercio in versione “light stable”.
Sempre di più l’industria del colore lavora per sviluppare, sia formulazioni che contengono ingredienti come gli antiossidanti, sia prodotti come gli incapsulati con l’obiettivo di migliorare le performance e la durata del colore. Ma nonostante questo, la colorazione con i coloranti naturali, soprattutto in particolari condizioni di imballo o di lavorazione molto stressanti, non può arrivare a garantirci le lunghe shelf life che ci avevano abituati i coloranti artificiali. Per questo motivo per arrivare alla shelf life desiderata, sarebbe consigliabile valutare anche una tipologia di imballo che possa aiutare il colore a mantenere le sue proprietà cromatiche il più a lungo possibile. Per la scelta del colore, non sono solo le proprietà strutturali di un prodotto ad essere determinanti, ma anche fattori di tipo legislativo, religioso e di scelte alimentari (vegetariani).
Il Regolamento 1333/2008, è attuata in tutti gli Stati membri e i colori approvati sono elencati insieme alle condizioni per il loro utilizzo. Questo fa si che non esistano dei coloranti ammessi in senso assoluto, perché non sono ammessi in tutti gli alimenti. Detto in altro modo, in ogni alimento o categoria di alimento, possono essere ammessi solo una parte di coloranti oppure le condizioni del loro utilizzo (dosaggi massimi) possono essere diverse da prodotto a prodotto. Se usciamo dall’Europa e andassimo negli Stati Uniti troveremmo una situazione completamente diversa, non solo per quanto riguarda l’elenco dei coloranti ammessi, ma anche per quanto riguarda più in generale il concetto di colorazione. Negli Usa non esiste il concetto di “Clean Labell” e ogni sostanza aggiunta con lo scopo di conferire il colore, è considerata un colorante.
Per soddisfare le richieste dei consumatori e di certi mercati, i colori spesso devono essere certificati Kosher e/o Halal. Il carminio non è Kosher e derivando da insetti schiaccianti non è adatto per colorare i prodotti vegetariani.
Anche una serie di ingredienti specifici svolgono un ruolo determinante nella scelta del colore. A seguito di recenti allarmi alimentari o di tendenze alimentari, molti produttori di alimenti e bevande stanno evitando l’uso per esempio di alimenti geneticamente modificati e/o dei derivati da palma, ma anche di origine animale, come ad esempio il carminio cocciniglia.
Rispetto ad altre spese come materie prime, lavorazione, imballaggio, commercializzazione e distribuzione, il prezzo dei colori naturali è spesso secondario. Tuttavia, soprattutto in alcuni settori e/o prodotti, non è proprio così vero, ancor di più se viene paragonato alla minima incidenza dei coloranti artificiali. Per questo motivo ho inserito anche questo fattore come incidente sulla scelta del colore.
Generalmente, i colori gialli come la curcuma e l’annatto sono economici da usare, mentre i carotenoidi misti o il beta-carotene sono più costosi nell’applicazione. All’interno delle sfumature rosse naturali la barbabietola rossa è normalmente la più economica ma presenta molte limitazioni per quanto riguarda la sua stabilità. La carota nera è una delle più usate, perché è considerata una buona soluzione soprattutto per il suo costo accessibile con delle performance medie e tutto sommato accettabili.
I colori provenienti dal carminio, dai diversi antociani, dalla spirulina, sono normalmente i più costosi da usare.
In questo articolo si è ho voluto fare una panoramica di tutti quelli che sono in fattori che influenzano la scelta di un colore piuttosto che un altro. Come puoi immaginare le variabili sono tantissime, ma nella sezione dei Settori Applicativi, si possono trovare ulteriori informazioni sul colore nelle varie tipologie di prodotto.